Scrive oggi Roberto Cotroneo sull’Unità (e Curzio Maltese su Repubblica gli fa eco):
“[…] Ieri il Servizio di Informazione Religiosa dei Vescovi italiani ha scritto che Sanremo è «un Festival che vuole essere specchio della società italiana ma che è destinato a dare di essa la sua immagine più stereotipata e banale, quella falsa, confezionata ogni giorno dalla tv. Non c’è dubbio che lo spettacolo in qualche modo tenga. Ma le canzoni, quelle no, e soprattutto sul versante dell’originalità».
Ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni, ma che i Vescovi si intendano di canzoni, e si mettano a fare i critici musicali è perlomeno curioso. Come è curioso che Sanremo dia un’immagine stereotipata della società italiana, e che questa immagine stereotipata sia «confezionata dalla tv», ma solo quando la tv arriva al Teatro Ariston e porta le conigliette. Mentre quando è la televisione dei grandi fratelli e della spazzatura catodica di tutti i giorni, non ci sono problemi: vescovi e vaticano non si scomodano per niente. Prossimamente chiederanno di far mettere la calzamaglia a ballerine e soubrette come ai tempi delle gemelle Kessler?”
Ma siamo solo noi italiani (vescovi o meno…) a pensare che un programma di canzoni sia specchio della società…
Nel resto del mondo credo che le canzoni siano canzoni, e basta.
Non è che siamo leggermente paranoici con Sanremo?
Ciao
Carlo
P.S. Non so se reggerei ad un pronunciamento della CEI sul Grande Fratello… Mi sembra che, così ad occhio, ci siano altre priorità
(con buona pace di Curzio Maltese).