Meritocrazia
Una società non per pochi, quindi dove ci sia una reale uguaglianza di opportunità per tutti, è basata su qualcosa che, semplificando molto, definiamo come meritocrazia. Semplificando, perché un’impostazione meritocratica significa fondamentalmente cercare di scegliere il meglio in ogni situazione, allo scopo di ottenere il maggior beneficio possibile per la società.
Non è un compito facile, ma una prima e fondamentale differenza risiede nel fatto che si cerchi di valutare le prestazioni lavorative e professionali allo scopo di esprimere confronti, formulare classifiche di merito, assegnare punteggi ad un certo compito svolto in un certo modo, oppure no.
Dopo questo primo ed irrinunciabile passo, cioè aver stabilito che una valutazione è cosa buona e giusta, occorre formulare dei criteri oggettivi e cercare di seguirli in modo serio e senza né eccezioni né derive autoritarie. Purtroppo, sembra che recentemente in Italia sia invalsa la tendenza di considerare la valutazione come un qualcosa di estremamente semplice, che soltanto l’influenza della Casta impedisce di effettuare. Le mie principali impressioni sono fondamentalmente due: la prima, che si facciano ancora pochissimi tentativi di valutazione dell’efficienza del personale anche in casi dove sarebbe relativamente semplice farlo (un mio amico recentemente mi ha spedito un pacco che mi è arrivato dopo un mese, essendo rimasto dietro la porta dell’ufficio postale per quattro settimane, senza partire: in casi come questo l’accertamento delle responsabilità non dovrebbe essere difficile), la seconda è che manchiamo di tutto quel che ci serve alla valutazione, a cominciare dai criteri per farlo, e questo blocca un po’ tutto: o meglio dei criteri, per esempio per il numero minimo di pubblicazioni per le varie fasce di docenti universitari, sono stati stabiliti, ma spesso l’asticella è posta talmente in basso che praticamente tutti la superano.
Ma è necessario partire, in qualche modo.
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