Abbiamo finalmente, dopo decenni di provvedimenti più o meno conservativi, una riforma universitaria. Mi sono chiesto a lungo se debba esserne contento o no, e, al di là dei miei sentimenti personali, se funzionerà o meno per dotarci di un sistema più efficiente e meritocratico.
Non ho una risposta pronta, altrimenti sarei un politico o un conduttore televisivo: tuttavia, cerco di riflettere. Ci sono alcuni aspetti della riforma che reputo interessanti, e cerco di elencarli qui sotto:
1. Abolizione dei concorsi (così come li conosciamo): di per sé, è un discorso epocale, perché è dai tempi di Napoleone che ci portiamo dietro la struttura di tutta la burocrazia concorsuale. Il Bonaparte che, al di là di quel che se ne può pensare, aveva una sua, per quanto embrionale, tendenza all’egualitarismo (oggi diremmo alle pari opportunità), il che non gli impediva di nominare parenti e amici ai posti di comando, assumendosene in toto la responsabilità, consolidò questa struttura nella pubblica amministrazione specie per evitare che il posto si tramandasse di padre in figlio. Quindi, di per sé, pensare che l’abolizione dei concorsi porti alla contemporanea soppressione del nepotismo è un’idea che lascio alle Pollyanna della nostra politica nazionale. Tuttavia, la macchina concorsuale è spesso farraginosa e inceppata (anche al di là della corruzione).
2. Le università possono assumere chi vogliono purché abilitato con apposito esame di idoneità (e purché abbiano fondi): questo ha una sua logica. L’Italia è anomala in questo: che per molti anni si poteva vincere un concorso universitario (su un posto specifico) dopo un esame da parte di una commissione costituita in buona parte da membri esterni (cioè da docenti di altre università da quella che ci impiegherebbe nel caso vincessimo). Questo nei paesi anglosassoni, per esempio, sarebbe impensabile: la commissione che ci esamina è lì costituita da colui/colei che sarà nostro diretto superiore in caso di assunzione e da altri membri della stessa facoltà (con preferenza per coloro che hanno ruolo direttivo e/o hanno attività vicine al diretto superiore di cui sopra). D’altro canto, per quanto se ne dica, chi ci giudica deve considerarci adatto ad un ruolo ben definito (non come in Italia, ad una generica e quasi metafisica “idoneità all’insegnamento”). Quindi, penso sia un’ottima idea che ogni università si gestisca come vuole: ogni dipartimento sa quali sono le principali tematiche di ricerca e quindi conosce (o meglio “sa riconoscere”) quali persone farebbero più comodo a proseguirla o svilupparla.
3. Si crea un’agenzia di valutazione: eh già, perché lo Stato non assiste passivamente all’utilizzo di quello che è ancora (almeno in prevalenza) denaro pubblico. Invece, valuta i docenti, considerandoli idonei all’insegnamento e valuta i dipartimenti su quello che producono (pubblicazioni, contratti esterni, ecc.).
Benissimo. Il problema, come al solito, sono i parametri di valutazione, che a livello internazionale sono ben consolidati: pubblicare su una rivista con alto fattore d’impatto vale immensamente di più che pubblicare sugli atti di un congresso nazionale (questa è la prima banalità che mi viene in mente), poi c’è un discorso su quanto la nostra ricerca viene citata, e sull’opinione che in ambito mondiale si ha su di noi e su quello che facciamo.
Si chiama “peer review”, è un sistema su cui ho centinaia di critiche da fare, nel senso che non sempre tutto è così semplice e non tutti i parametri si prestano sempre a valutazioni scupolosamente oggettive: ci sono margini d’errore. Però le regole sono queste, e spero (anche se sono scettico) che l’italica agenzia di valutazione ne tenga conto, e non si inventi meta-regole discrezionali. Nel calcio, per fare un esempio terra terra (in tutti i sensi), se il difensore tocca la palla mandandola oltre la linea di fondo si assegna un calcio d’angolo. Questa è la regola e non si ammettono discrezionalità: poi, succede che l’arbitro non veda una deviazione della traiettoria, e magari non assegni il corner (sbagliando). E’ accaduto per esempio nella recente finale mondiale ai danni dell’Olanda. Ciò non toglie che la regola sia importante. Pensate cosa succederebbe se, ogni volta che la palla va sul fondo, l’arbitro potesse a sua discrezione decidere che fare: rigore, punizione a due in area, rimessa dal fondo, calcio d’angolo, sospensione della partita, espulsione del portiere. Lo so che fa ridere, ma questa è finora la situazione della valutazione in Italia, anche e specialmente negli abolendi concorsi.
4. Posti esterni: siccome la riforma, in tutto ciò, rischia di modificare qualcosa (e noi non siamo un paese che ama i cambiamenti), i parlamentari si sono spaventati tantissimo, e si sono premurati di verificare che i posti assegnati a persone al di fuori della stessa università che bandisce la selezione siano meno possibile (si dice un terzo, ma saranno, vedrete, meno). Questo è, incidentalmente, una delle cose che, pur detestando l’attuale banda Bassotti che ci governa, lo scrivente non ha fiducia nella parte opposta (opposizione mi sembra un overstatement, una sopravvalutazione, se volete). Li vedo, con le loro espressioni spaventate, aggirarsi per i corridoi parlamentari, chiedendosi compulsivamente: “E se viene assunto qualcuno che non conosciamo?”. Corollario: e se questo qualcuno è magari pure più bravo di quelli che conosciamo noi? Va bene la meritocrazia, ma da chi è portato colui che assumiamo? Ancora peggio se colui che vorremmo assumere non ha padrini: un cane sciolto fa ancora più paura.
Insomma, mi piacerebbe tanto se funzionasse: ma temo non sarà così. Perché, come al solito, nessuno è responsabile di niente: mentre nel calcio, se sono presidente, metto mezz’ala destra mio cugino che è una schiappa, e la squadra va in serie B, i tifosi possono anche linciarmi o chiedere la mia testa (non tanto metaforicamente), le conseguenze per gli analoghi valutatori in ambito universitario saranno scarse, se non inesistenti. E’ vero, l’università potrebbe ricevere meno fondi, essere meno visibile a livello internazionale, ma insomma chi ne pagherebbe le conseguenze in un sistema come quello in cui viviamo? Specialmente con i fondi bloccati per tutti fino al 2013? Probabilmente nessuno, o forse tutti allo stesso modo, per cui, chiunque scegliamo, è praticamente uguale (anche perché, detto tra noi, non possiamo assumere nessuno: quindi, più che una selezione, stiamo parlando di un gioco di società). In ogni caso, esattamente il contrario della meritocrazia.
Aspettiamo con pazienza qualche anno quindi, quando nel 2013 la situazione si sbloccherà. Peccato soltanto che, mentre nei palazzi del governo ci si balocca con la riforma (ennesima proposta comprensiva di tagli ed a costo zero), bisogna continuare a vivere, pagare le bollette, l’affitto, ecc. ecc. Nella speranza che il 2013 ci trovi in forma ed in salute (o all’estero, che per entrambi gli schieramenti sarebbe, diciamocelo francamente, un notevole sollievo).
Per intanto, Buon Ferragosto.