
Ieri, all’età di novantuno anni, è scomparso Giusto Pio. Violinista di grandissima abilità tecnica, arrangiatore e compositore tra i più raffinati, colto ma mai noioso, ha legato indissolubilmente il suo nome a quello, più noto al grande pubblico, di Franco Battiato.
È proprio alla collaborazione con Giusto Pio che Battiato deve in gran parte il successo tanto a lungo inseguito fin dalla fine degli anni ’60 e raggiunto solo agli inizi degli anni ’80 con La voce del padrone, album fortunatissimo – vendette oltre un milione di copie, una cifra impensabile per lo scricchiolante mondo discografico di oggi, e non solo per gli artisti di casa nostra – del 1981.
Ma l’impronta di Giusto Pio, quel suono inconfondibile di violino suonato come una sorta di Joe Satriani del violino, è ben presente e direi quasi dominante già nei 2 album precedenti di Battiato, L’era del cinghiale bianco del 1979 e Patriots dell’anno seguente.
Assieme alla chitarra strepitosa di Alberto Radius (ex Formula Tre) e alle splendire tastiere di Filippo Destrieri il nuovo sound di Battiato – popolare ma allo stesso tempo sofisticato – Giusto Pio riuscì a traghettare Battiato dal progressive e dalla musica elettronica alla Stockhausen al mondo delle radio e dei juke-box.
La collaborazione con Battiato si protrarrà sino ai primi anni ’90: Giusto Pio arrangerà, dirigerà l’orchestra, farà cantare il suo violino e sarà insomma una presenza fondamentale nella musica di Battiato.
E infatti la sua mancanza, negli anni seguenti, si avvertirà, lasciatemelo dire.