La classe dirigente italiana? Non legge

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L’editore Angelo Guerini, intervistato da Stefano Righi per il Corriere della Sera, denuncia con forza ma anche amarezza le pesanti difficoltà in cui versa oggi l’editoria in Italia:

Nell’87 la saggistica presentava una fascia di lettori forti, ad alta scolarizzazione, a cui corrispondeva un’offerta varia, a costi ragionevoli. Oggi prevale una logica unitaria e devastante che espelle dal canale libreria il prodotto non legato al mass market. In più si è passati dai librai ai commessi, cambiamento che rende straordinariamente difficile il nostro lavoro.

Analizza poi il problema dei canali distributivi, che mortificano l’editoria non di massa:

[…] Amazon? Si è sviluppato in forza delle scelte demenziali del canale tradizionale. Quando si impongono sconti del 65 per cento sul prezzo di copertina, quale prodotto può reggere? Le barzellette di Totti… La scomparsa dei librai, che erano garanzia di varietà, sostituiti da centri di acquisto che decidono l’assortimento di tutta la catena, ha contribuito a produrre un’offerta appiattita verso il basso, in un regime di sostanziale oligopsonio. E se pensiamo che le università oggi sfornano laureati bookless, possiamo dire che si sta realizzando il sogno bacato degli autonomi del 1977.

Non solo, lamenta anche la caduta verticale dei lettori:

La maggior flessione degli indici di lettura si è avuta tra i giovani laureati. Il risultato è un ceto dirigente improvvisato, privo di cultura, incapace di leggere la realtà. L’indice di assorbimento della saggistica a Roma, negli ultimi dieci anni, è passato dal 18 all’8 per cento: la classe dirigente italiana non legge.

Insomma, per citare una celebre canzone di Adriano Celentano di qualche anno fa, la situazione non è buona. Per niente, aggiungo più modestamente io.

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