Mu, il mito del continente perduto secondo Hugo Pratt

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Corto Maltese, Mu. La città perduta • © Rizzoli Lizard

Mu, il mitico continente perduto, ha sempre esercitato una grande influenza sugli artisti più aperti alle dimensioni del mistero, delle verità non conclamate e del mito. Dimensioni che, se indagate a dovere, possono dischiudere nuovi orizzonti di conoscenza, in quello che può rivelarsi un vero e proprio viaggio iniziatico per chi abbia il coraggio di intraprenderlo, senza timore di esporsi al ridicolo o all’insuccesso.

In campo letterario già il grande Howard P. Lovecraft nel primo scorcio del secolo scorso riprese il mito di Mu nel celebre Ciclo di Chtulhu, oltre che in diversi altri suoi racconti. In tempi più recenti, uno scrittore di grande seguito come Neil Gaiman ha citato Mu nel romanzo Buona Apocalisse a tutti.

Ma è in campo fumettistico che è stato maggiormente celebrato il celebre mito del continente perduto. Oltre alla saga di Martin Mystere del sempre più enciclopedico Alfredo Castelli, mi piace ricordare una storia del 1979 che vede protagonista l’eroe disneyano per eccellenza, Topolino, nella storia Topolino e l’enigma di Mu. Numerosi anche i richiami presenti nella serie, amatissima dal grande pubblico, di Saint Seya – I Cavalieri dello Zodiaco.

Tuttavia è sul finire degli anni Ottanta che Mu conosce la più compiuta rappresentazione, ad opera di Hugo Pratt. Il grande romanziere grafico fa compiere al suo più celebre personaggio, Corto Maltese, l’ultima avventura della sua spericolata e affascinante carriera, proprio alla ricerca di Mu: l’opera, pubblicata dapprima a puntate sul mensile Corto Maltese a partire dal mese di novembre 1988 e successivamente raccolta in volume è stata continuamente ristampata, come del resto quasi tutta l’opera del grande cartoonist, fino a oggi.

Mu. La città perduta è senza ombra di dubbio una delle storie più belle di Pratt, non solo tra quelle che hanno per protagonista Corto Maltese, ma più in generale dell’intera produzione del geniale artista. La storia, ambientata nel biennio 1924-1925, vede sulla scena un giovane Corto, assieme ai compagni di viaggio Rasputin, Steiner, Levi Colombia, Bocca Dorata, Tristan Bantam e Soledad. In tal senso si quasi ha l’impressione che l’autore abbia voluto riunire l’intera corte dei personaggi della saga di Corto Maltese, per quello che a tutti gli effetti sarà l’ultimo lavoro realizzato dal grande artista.

Pratt fa compiere al suo eroe un viaggio che lo porterà dai Caraibi alle piramidi dei Maya alla ricerca di Mu. Quello che scaturisce dalle matite incantate e rarefatte di Pratt è un percorso esoterico, non privo di riferimenti alti, a metà tra la storia e la filosofia: indimenticabili in tal senso le prime tavole del volume, che mostrano un Corto Maltese palombaro intento in un dialogo dal sapore lisergico con i filosofi greci Timeo e Crizia, che crede di intravvedere in due pitture Maya.

Eppure la narrazione non è mai appesantita da sterili intellettualismi, venata com’è dell’ironia e del disincanto tipici non solo del personaggio di Corto Maltese, ma anche e soprattutto del suo autore. Avventura, sogno e mito sono amalgamati da Pratt con maestria e gusto, qualità che oggi sono ardue da trovare nel panorama fumettistico mondiale, impoverito e soverchiato com’è da media dai linguaggi più immediati, adatti a un pubblico ben diverso da quello di un tempo.

In conclusione Mu. La città perduta rappresenta un esempio luminoso di fumetto inteso come grande forma d’arte, in grado di trarre linfa vitale anche da quei temi a volte snobbati dalla cultura cosiddetta “alta”.


N.d.A.: questa recensione è già apparsa in una versione leggermente differente sulla rivista XTimes, edita da Xpublishing.

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