
Vittorio Gregotti, architetto attivo fin dal dopoguerra e tra i più apprezzati anche all’estero – ma guai a chiamarlo archistar – sta per raggiungere l’ambito traguardo dei novant’anni.
È l’occasione per tracciare un bilancio della sua attività e anche per lanciare quella che forse non è solo una provocazione, quando afferma, nel corso della bella intervista rilasciata al quotidiano Repubblica che “l’architettura non interessa più a nessuno”.
[…] Cosa sta succedendo nel nostro mondo? Una società immobiliare decide se, con i soldi dell’Arabia Saudita, investire a Berlino, a Shanghai o a Milano, a seconda delle convenienze. Stabilisce il costo economico, compie un’analisi di mercato, fissa le destinazioni. E alla fine arriva l’architetto, a volte à la mode, al quale si chiede di confezionare l’immagine.
Interessante l’approccio trasversale e multidisciplinare del grande progettista, che ricorda anche gli stimolanti contatti intercorsi con il mondo degli scrittori:
[…] Ho anche partecipato al gruppo 63: si ragionava su come vivere il tempo libero senza finire preda del mercato, una questione cruciale per un architetto.
Tuttavia, per tornare nel territorio specifico del grande architetto, lo sguardo di Gregotti è disincantato e amaro, nell’osservare:
Oggi non ci si preoccupa di rappresentare una condizione sociale collettiva. È andato smarrendosi il disegno complessivo della città, che viene progettata per pezzi incoerenti, troppo regolata da interessi.
Qualcuno forse potrebbe obiettare che questo pessimismo scaturisce dal peso degli anni. Il che può essere, certo. Ma temo che le argomentazioni di Gregotti siano invece ben supportate dai fatti e dall’osservazione di una realtà architettonica avvilente, che non di rado sprofonda nello squallore.