Pochi giorni fa l’Istat ha diffuso i dati della consueta indagine su produzione e lettura dei libri nello scorso anno, il 2016. I dati sono a dir poco sconfortanti, perfino peggiori che in passato:
Ancora in calo i lettori, passati dal 42,0% della popolazione di 6 anni e più del 2015 al 40,5% nel 2016. Si tratta di circa 23 milioni di persone che dichiarano di aver letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista per motivi non strettamente scolastici o professionali.
La popolazione femminile mostra una maggiore propensione alla lettura già a partire dai 6 anni di età: complessivamente il 47,1% delle donne, contro il 33,5% dei uomini, ha letto almeno un libro nel corso dell’anno.
Leggono di più i giovani tra gli 11 e i 14 anni (51,1%) rispetto a tutte le altre classi di età.
Insomma, il numero dei lettori continua a diminuire. Un fenomeno ormai consolidato e risaputo, del quale chi opera nel mondo dell’editoria non può non tenere conto. E, se è vero che nel 2016 si è riscontrato un lieve segnale di ripresa della produzione editoriale, con un aumento dei titoli pubblicati aumentati del 3,7% rispetto all’anno precedente, è anche vero che le tirature si sono ridotte (-7,1%).
Di conseguenza, per chi si ostina a voler scrivere (come il sottoscritto, ahimè) non è facile sottrarsi alla sensazione di farlo per una più che sparuta minoranza, una sorta di nicchia nella nicchia che a tratti rischia di avvicinarsi pericolosamente alla irrilevanza.
Qualche amico scrittore/lettore magnanimo potrebbe obiettare che chi scrive lo fa soprattutto per se stesso, per rispondere a un impulso interiore insopprimibile, il famigerato sacro fuoco che oggi sembra avvampare un po’ in tutti: cuochi, calcia(t)tori, cantanti, soubrette, presentatori, attori, politici, fuochisti, macchinisti, linotipisti…
Sappiamo tutti che le cose non stanno proprio così. Ogni artista credo aspiri a comunicare qualcosa, non necessariamente un messaggio, magari solo un’emozione, uno stato d’animo a un invisibile, ipotetico, spesso agognato destinatario.
Poi, certo, il lettore di ieri oggi continua a nutrirsi di storie narrate in altre forme/media, come le serie televisive in costante moltiplicazione – alcune peraltro di grande qualità, scritte e girate magnificamente – o i buoni, vecchi fumetti.
Il problema semmai è la frammentazione del tempo libero, che inoltre viene a essere sempre più monopolizzato dall’uso – spesso abuso, diciamocelo – dei nostri onnipresenti, quasi onnipotenti dispositivi digitali, smartphone, tablet, computer e così via.
Un altro dato interessante è il seguente:
Oltre il 50% degli editori attivi nel 2016 ha sede nel Nord del Paese; la città di Milano da sola ospita più di un quarto dei grandi marchi.
Il nostro Paese anche sotto il profilo dell’offerta e del “consumo” culturale si conferma diviso in due, con un Sud tendenzialmente in affanno anche sotto il profilo dell’accesso alla cultura. Le ragioni sono sotto gli occhi di tutti – economiche, sociali, politiche – e dispiace che ancora non si adottino misure adeguate per combattere tale stato di cose.
Sarebbe bello se, a pochi mesi dalle elezioni, si parlasse anche di questi argomenti, ma vi confesso che al riguardo nutro poche speranze.