Di recente Riccardo Muti, dialogando con Maurizio Molinari, ha espresso un grande timore, condiviso direi non solo da chi fa musica, ma anche da chi la ascolta:
[….] io ho solo un grande timore: aver chiuso i teatri ha allontanato il pubblico dal vivere direttamente la musica, dal vedere e ascoltare i musicisti nel momento in cui suonano.
Lo ha fatto abituare all’idea che si può anche vivere senza cibarsi spiritualmente della musica.
Una cosa è sentire un cd a casa che ripete sempre la stessa esecuzione e può variare solo quando cambia il nostro stato d’animo. Un’altra ascoltare in teatro una esecuzione unica che nasce dal nulla e ritorna poi nel silenzio.
Ho pensato la stessa cosa. Ma l’ho pensata anche nei riguardi del teatro e del cinema e di tutto ciò che ora siamo stati abituati a fare online comodamente da casa.
Siamo cambiati. Ci hanno cambiati. Sta a noi poi riemergere per assaporare nuovamente la vita… Ciao, piacere di conoscerti.
Ciao Emma, piacere mio. Proprio così. Il “Primum vivere deinde philosophari” è un principio un po’ abusato in questo periodo buio, nel quale la cultura e l’arte vengono quasi rimosse. Eppure la nostra stessa salute mentale è in serio pericolo, senza poter assistere a una rappresentazione teatrale, a un film in sala o nel divieto di visitare una mostra o un museo. Rischiamo di abbrutirci, come giustamente paventa Muti.