Il Silenzio, di Don DeLillo

“Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta guerra mondiale si combatterà con pietre e bastoni”

(Albert Einstein)


Molti artisti, col progredire della propria arte – e dell’età, ovviamente – mettono in atto, più o meno consapevolmente, una sorta di rarefazione del proprio stile.

Questo processo, che, per citare il maestro Franco Battiato, potremmo anche definire di ricerca dell’essenza, si manifesta in campo pittorico, fotografico, musicale e ovviamente anche letterario.

Si pensi ad esempio agli ultimi libri di Don DeLillo, a mio avviso il più grande scrittore contemporaneo. Dopo il romanzo monstre Underworld di fine anni ‘90, i romanzi successivi sono tutti caratterizzati dalla brevità. È un dato di fatto.

Ma i temi e i ragionamenti espressi in queste opere non sono meno pregnanti che in passato, e lo stile è sempre quello del grande scrittore: lapidario e cristallino, ove necessario forbito ma mai pedante o, peggio, noioso.

Il nuovo romanzo, Il Silenzio, di recente pubblicato nel nostro Paese da Einaudi, non sfugge a tale tendenza. Anzi, semmai la esaspera, come spiego più diffusamente qui.

Utilizzando la struttura della pièce teatrale, DeLillo affronta i temi, mai così attuali, del ruolo pervasivo dei moderni mezzi di comunicazione e di ciò che potrebbe accadere alla nostra società, ormai schiava delle moderne tecnologie, ove queste ultime collassassero.

Fantascienza apocalittica? Neoluddismo? Niente di tutto questo. La catastrofe tecnologica è una possibilità più che concreta e il processo di zombizzazione digitale collettiva è in atto da anni ormai.

DeLillo, da grande osservatore qual è sempre stato, non fa altro che cogliere i sintomi di tali cambiamenti. Che sono, con tutta evidenza, forieri di possibili, immani disastri. Forse irreversibili.

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