Quello che segue è un breve racconto dedicato ad Halloween. Quasi un divertissement, è apparso originariamente qualche anno fa sul blog magazine Graphomania. S’intitola “Buon Halloween, Professore!”
Buon Halloween, Professore!
Il campanello della porta di casa risuonò con assillante ostinazione per ben tre volte prima che il professor Motteggi si decidesse ad andare a vedere chi diamine fosse.
Erano le dieci di sera, e non attendeva nessuna visita, tantomeno a quell’ora. L’anziano docente, prossimo alla pensione e vedovo da parecchi anni, conduceva una vita riservata, tutto casa e liceo. Insegnava storia e filosofia in un liceo storico della capitale, o meglio cercava di instillare qualche minima nozione di quelle materie a una ciurma indisciplinata e perennemente annoiata che, quando non sonnecchiava sui banchi, passava il tempo a chattare sui social network dai loro complicatissimi smartcosi.
«Tutta colpa dei genitori troppo permissivi. Sono loro a viziarli, comprandogli apparecchi costosi e inutili, anzi buoni solo a far perdere tempo a questi sciagurati!» era solito lamentarsi Motteggi con i rassegnati colleghi nelle pause tra le lezioni.
Aprì la porta di scatto, col risultato di far sussultare il trio in attesa sul pianerottolo.
Tre ragazzini nero vestiti sui dodici anni – un vampiro spiritato, uno zombie sovrappeso e una Morticia fin troppo graziosa – indietreggiarono verso i gradini ricoperti di foglie. E fu proprio per colpa di un cumulo di fogliame bagnato che il piccolo zombie scivolò, ripercorrendo i gradini all’indietro, giù fino al pianerottolo sul fondo schiena.
Il professore ammirò la scena non senza una sottile punta di soddisfazione. Quindi, nel solito tono saccente e sferzante che esasperava e allo stesso tempo intimoriva i suoi alunni, commentò: «Ecco cosa succede a disturbare le brave persone di notte! È stata la giustizia divina a punirvi, piccoli delinquenti che non siete altro!»
«Ma noi veramente volevamo solo chiederle un dolcetto, signore…» piagnucolò Morticia, cercando di ricacciare sotto il lembo della parrucca una ciocca bionda.
«Ma certo, il famigerato “Dolcetto o scherzetto”, come avete imparato a ripetere da quei ridicoli film e telefilm americani, vero? Ma vergognatevi piuttosto! Tornate a casa, da quegli scriteriati dei vostri genitori, se non volete che davverovi accada qualcosa di brutto!» abbaiò il docente, gli occhi dilatati dal risentimento.
Il terzetto non si fece ripetere due volte il minaccioso invito. Aiutato il compagno a rialzarsi, corsero via in lacrime.
Motteggi si chiuse la porta alle spalle e tornò a correggere i compiti. O almeno tentò di farlo, ma senza successo. La sua concentrazione era andata a farsi benedire. Prese allora dal comò un ponderoso saggio di filosofia e si avviò verso la camera da letto.
Spogliandosi, per un attimo lo sfiorò un’ombra di rimorso per come aveva scacciato quei bambini. Stava ancora ragionando sull’accaduto, quando dall’appartamento accanto risuonò il pianto di un neonato.
Prese a battere con violenza il bastone da passeggio sul muro, ma i vagiti crebbero d’intensità. Furibondo, imprecando e maledicendo l’intero condominio, si precipitò in bagno. Rovistò frenetico nell’armadietto dei medicinali finché rinvenne finalmente l’oggetto della sua ricerca, una coppia di vecchi tappi di cera.
Li assestò nei condotti uditivi insinuandoli in profondità, sin quasi a farsi male. In compenso ora lo strepito giungeva attutito.
«Adesso sì che si ragiona! Maledetto moccioso, ora puoi strillare anche tutta la notte, per la gioia di quei bastardi dei tuoi genitori!» esultò, rimettendosi a letto.
Lesse a voce alta una pagina e mezza, ma non gli riuscì di afferrarne il significato, provato com’era.
Ecco, vedi? Si rammaricò, chiudendo di scatto il libro, per colpa di quest’altro mostriciattolo stasera non sono riuscito a entrare in sintonia con l’amatissimo Nietzsche! Ah, ma gli incivili di questo ignobile condominio la pagheranno. Oh sì, quant’è vero Iddio mi sentiranno, alla prossima assemblea!
In compenso accanirsi su quella lettura così impegnativa un effetto positivo lo sortì, poiché di lì a poco Motteggi cadde addormentato.
Il dlin dlon rauco del vecchio campanello echeggiò nuovamente tra le pareti tappezzate con vecchia carta da parati. Il suono però, ripetuto e prolungato, sembrava diverso, molto più forte del solito.
Motteggi, svegliatosi di soprassalto, proruppe in una litania di bestemmie incendiarie. Scoccò una rapida occhiata alla sveglia sul comodino, erano le tre del mattino. Sbuffò, digrignò i denti, scalciò via le coperte e balzò giù dal letto come una furia. Senza curarsi di indossare la vestaglia da notte e le pantofole, percorse a rapide falcate il corridoio fino alla porta. Esitò un attimo prima di aprirla, gli sembrava di udire uno strano vocio oltre la superficie di mogano. Ma la rabbia era incontenibile e spalancò l’uscio con forza.
Una schiera interminabile di bambini assediava il suo appartamento. A decine, forse addirittura a centinaia, occupavano le scale e i pianerottoli dei piani sottostanti, oltre naturalmente al suo. Laceri nei loro abiti di Halloween, i volti insanguinati e putrescenti, le orbite oculari vuote, agitavano le braccia scheletriche verso di lui.
Ma il particolare che spinse Motteggi alle soglie della follia fu l’ascolto della nenia angosciante intonata dalla folla: «Dol-cet-to o scher-zet-to! Dol-cet-to o scher-zet-to!»
«Cosa volete da me? Sono solo un povero vecchio, andatevene via, vi prego!» piagnucolò, un istante prima di venire sopraffatto dalla folla cantilenante.
L’orribile suono prodotto dalle membra schiacciate del professor Motteggi risuonò alto, quasi quanto le sue urla di dolore.
L’indomani il portiere dello stabile, preoccupato per non aver visto uscire di casa il professore all’orario consueto, fece l’amara scoperta.
L’anziano giaceva ancora nel suo letto, senza vita.
Come constatò di lì a poco il medico legale, il decesso era avvenuto nel sonno. Doveva essersi trattato di un infarto, dovuto forse allo stress o a una forte emozione. Quest’ultima supposizione sembrava suffragata dall’espressione impressa nei lineamenti del morto. Gli occhi dilatati dal terrore, la mascella serrata in atteggiamento di difesa, le narici dilatate, quel volto deformato sembrava il ritratto stesso del terrore.
© Luigi Milani 2013