Only the strong survive, un Bruce Springsteen all’insegna della nostalgia

Puntuale arriva il momento per molti musicisti e rockstar di incidere un album di cover. L’hanno fatto in anni recenti Phil Collins, Paul McCartney, perfino i nostrani Pooh e molti altri.

Di solito accade quando gli artisti arrivano, per citare il grande Lucio Dalla, “a una certa età”. Forse entrano in gioco il fattore nostalgia, una certa inevitabile stanchezza compositiva, o magari la semplice voglia di divertirsi con la musica che ascoltavano in gioventù.

E forse è quest’ultima la chiave di ascolto per il nuovo album del “Boss” Bruce Springsteen: divertirsi e, possibilmente, divertire il suo pubblico riproponendo a mò di lussuoso karaoke brani soul e r&b.

Certo, non sempre la sua voce, roca e graffiante, si sposa al meglio con brani lontani dalla sua vocalità e in quei casi si finisce per rimpiangere le versioni originali. È il caso ad esempio di Nightshift dei Commodores o della mitica Don’t play that song di B. E. King.

Ma nel complesso l’album è molto piacevole da ascoltare, ben suonato e arrangiato con grande cura. Forse non lascerà il segno nella vasta produzione del grande cantautore (e gli ultimi album sono di livello notevole) ma rimane pur sempre molto al di sopra della maggior parte della musica di plastica contemporanea, a base di noiosi auto-tune e campionamenti furbastri a go-go.

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