La lezione di Steven Holl

Cloe Piccoli ha intervistato per Repubblica Steven Holl, grande architetto americano nemico giurato di quell’architettura intensiva che ignora il verde, riduce gli spazi e mortifica la dimensione umana.

In particolare, Holl risponde, alla domanda su come si possa realizzare la dimensione umana nelle metropoli:

[…] Si può e si deve costruire in maniera diversa da come stiamo facendo. I grandi insediamenti devono essere circondati da aria, acqua, giardini pensili, terrazze pubbliche, con l’obiettivo di creare contesti vivibili. […]

Y House by Steven Holl
Y House by Steven Holl

E ancora, interrogato sul concetto stesso di dimensione umana:

[…] Ecco, la scala umana è la distanza da cui puoi ancora riconoscere un volto, poter aprire una finestra e lasciare entrare l’aria. Sembra un gesto scontato ma in molte torri non è possibile. Ho sempre pensato, ben prima della pandemia, che ogni persona debba avere accesso a spazio, luce, aria, sia nelle abitazioni che negli spazi pubblici. […]

Punti di vista che credo dovrebbero far propri molti architetti e urbanisti, spesso colpevolmente disattenti alle esigenze dell’uomo e della natura.

Oltre l’immagine

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Come mai alcune immagini catturano la nostra attenzione, mentre restiamo indifferenti, o, peggio annoiati o disgustati davanti ad altre? Quali sono i meccanismi dietro alla nostra percezione dell’immagine, sia essa un dipinto, una fotografia, un’inquadratura cinematografica, un post su un social?

Insomma, come vengono costruite le immagini? A queste e anche ad altre, non meno interessanti domande risponde l’ultimo libro di Riccardo Falcinelli, Figure.

Per chi fosse interessato, ne parlo più diffusamente qui.

Viva la Franca!

8C2B0784-09E7-475E-914D-0E41818E46C5È appena uscito per i tipi di Edizioni Graphe.it, Viva La Franca, un saggio dedicato alla grande Franca Valeri, prossima a festeggiare i cent’anni di vita e quasi altrettanti d’arte.

Titolo quanto mai azzeccato quello del libro: chi potrebbe dubitare di quale sia la Franca in questione, con l’articolo davanti al nome, “alla milanese”? Così lo pronuncerebbe la celeberrima Signorina Snob, uno dei personaggi più famosi e amati fra le tante caricature sociali create da Franca Valeri, artista tra le più versatili e dalla carriera gloriosa e duratura.

Appassionato e competente, con la consueta scrittura fluida e piacevole, l’infaticabile Aldo Dalla Vecchia passa in rassegna la vasta attività teatrale, cinematografica, radiofonica e letteraria della grande attrice.

Nel contempo l’autore evita però di indugiare sulla vita privata della Valeri, scelta questa particolarmente apprezzabile per non scadere nel gossip più becero, oggi purtroppo così di moda.

Si tratta di un libro breve ma prezioso, sia per i tanti appassionati bramosi di ritrovare le perle del passato che per il pubblico più giovane, forse all’oscuro di un periodo tra i più fervidi per lo spettacolo italiano.

Art Faces

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Vi segnalo una mostra molto interessante, allestita con cura sopraffina nei vasti spazi espositivi dell’Art Forum Würth Capena, dopo esser stata presentata per la prima volta nel 2003 alla Kunsthalle Würth di Schwäbisch Hall.

Si tratta di “Art Faces. Ritratti d’artista nella Collezione Würth”. La collezione di “Art Faces” nasce dall’opera del fotografo svizzero François Meyer che, mosso dalla curiosità nei confronti della persona artefice dell’opera d’arte, avvia l’ambizioso progetto di realizzare una collezione di fotografie di ritratti d’artista.

Meyer inizia a raccogliere le sue opere nel 1975, mentre lavora come fotografo per il mondo dell’arte e collabora con riviste come L’Oeil, Conossaince des Arts, Architectural Digest e Elle Decor.

Da sottolineare che Meyer non realizza scatti improvvisati o sul momento, ma composizioni frutto di approfondite riflessioni. Nei suoi ritratti riesce a instaurare, attraverso l’obbiettivo, un rapporto tra il mondo della fotografia e quello dell’arte, rappresentando attraverso le sue foto la scena artistica degli anni Settanta come un caleidoscopio dello Zeitgeist.

All’inizio i ritratti sono 80, tra cui quelli di Sonia Delaunay, Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Wilfredo Lam, Richard Serra, Tom Wesselmann e altri artisti famosi. Il progetto viene dimenticato in un cassetto fino al 1998, quando, insieme alla moglie, Meyer decide di ampliare la raccolta acquistando i ritratti di altri fotografi.

Non solo. Spesso, accanto al ritratto dell’artista la mostra presenta opere realizzate da quest’ultimo, così da poter avere subito un primo contatto visivo con la sua arte. Raramente accade di visitare una mostra, per di più a ingresso gratuito, così articolata e curata.

Non perdetela, se abitate nel Lazio o capitate dalle parti della Capitale.

 

 

Elisabetta Catalano. Tra immagine e performance

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Elisabetta Catalano
Foto / Photo Enzo Ragazzini

Segnalo un interessante allestimento al MaXXI di Roma per chi, come me, ama la fotografia: “Elisabetta Catalano. Tra immagine e performance”.

Curata da Aldo Enrico Ponis in collaborazione con l’Archivio Elisabetta Catalano, la mostra – a dire il vero abbastanza concisa nella sua essenzialità – è incentrata sul periodo più sperimentale dell’attività della grande fotografa scomparsa pochi anni fa.

In altre parole, non troviamo esposti gli strepitosi ritratti “glamour” di personaggi illustri del mondo dello spettacolo e della moda – campo nel quale lo stile della Catalano è riconoscibile all’istante.

Tra l’altro, se mi è consentita una piccola digressione personale, in una mia precedente incarnazione professionale in passato mi sono trovato a lavorare proprio con questo genere di servizi fotografici realizzati dalla grande fotografa: è così che, una ventina d’anni fa, ho scoperto e mi sono innamorato della sua arte.

L’esposizione corrente vuole invece mostrare il lavoro che l’artista dedicò, a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta, alla rappresentazione di quelle che erano vere e proprie performance in studio aventi per protagonisti artisti quali Joseph Beuys, Fabio Mauri, Vettor Pisani, Cesare Tacchi.

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Cesare Tacchi, Painting, 1972.
Performance in studio / Studio performance © Performance Cesare Tacchi
© Fotografia / Photo Elisabetta Catalano

Il risultato a volte è spiazzante e merita certamente una visita approfondita, dal momento che è possibile visionare, oltre alle stampe in grande formato, anche diapositive, fotocolor, provini fotografici, la corrispondenza e documenti vari.

La mostra rimane “in cartellone” fino al prossimo 22 dicembre 2019.

Mu, il mito del continente perduto secondo Hugo Pratt

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Corto Maltese, Mu. La città perduta • © Rizzoli Lizard

Mu, il mitico continente perduto, ha sempre esercitato una grande influenza sugli artisti più aperti alle dimensioni del mistero, delle verità non conclamate e del mito. Dimensioni che, se indagate a dovere, possono dischiudere nuovi orizzonti di conoscenza, in quello che può rivelarsi un vero e proprio viaggio iniziatico per chi abbia il coraggio di intraprenderlo, senza timore di esporsi al ridicolo o all’insuccesso.

In campo letterario già il grande Howard P. Lovecraft nel primo scorcio del secolo scorso riprese il mito di Mu nel celebre Ciclo di Chtulhu, oltre che in diversi altri suoi racconti. In tempi più recenti, uno scrittore di grande seguito come Neil Gaiman ha citato Mu nel romanzo Buona Apocalisse a tutti.

Ma è in campo fumettistico che è stato maggiormente celebrato il celebre mito del continente perduto. Oltre alla saga di Martin Mystere del sempre più enciclopedico Alfredo Castelli, mi piace ricordare una storia del 1979 che vede protagonista l’eroe disneyano per eccellenza, Topolino, nella storia Topolino e l’enigma di Mu. Numerosi anche i richiami presenti nella serie, amatissima dal grande pubblico, di Saint Seya – I Cavalieri dello Zodiaco.

Tuttavia è sul finire degli anni Ottanta che Mu conosce la più compiuta rappresentazione, ad opera di Hugo Pratt. Il grande romanziere grafico fa compiere al suo più celebre personaggio, Corto Maltese, l’ultima avventura della sua spericolata e affascinante carriera, proprio alla ricerca di Mu: l’opera, pubblicata dapprima a puntate sul mensile Corto Maltese a partire dal mese di novembre 1988 e successivamente raccolta in volume è stata continuamente ristampata, come del resto quasi tutta l’opera del grande cartoonist, fino a oggi.

Mu. La città perduta è senza ombra di dubbio una delle storie più belle di Pratt, non solo tra quelle che hanno per protagonista Corto Maltese, ma più in generale dell’intera produzione del geniale artista. La storia, ambientata nel biennio 1924-1925, vede sulla scena un giovane Corto, assieme ai compagni di viaggio Rasputin, Steiner, Levi Colombia, Bocca Dorata, Tristan Bantam e Soledad. In tal senso si quasi ha l’impressione che l’autore abbia voluto riunire l’intera corte dei personaggi della saga di Corto Maltese, per quello che a tutti gli effetti sarà l’ultimo lavoro realizzato dal grande artista.

Pratt fa compiere al suo eroe un viaggio che lo porterà dai Caraibi alle piramidi dei Maya alla ricerca di Mu. Quello che scaturisce dalle matite incantate e rarefatte di Pratt è un percorso esoterico, non privo di riferimenti alti, a metà tra la storia e la filosofia: indimenticabili in tal senso le prime tavole del volume, che mostrano un Corto Maltese palombaro intento in un dialogo dal sapore lisergico con i filosofi greci Timeo e Crizia, che crede di intravvedere in due pitture Maya.

Eppure la narrazione non è mai appesantita da sterili intellettualismi, venata com’è dell’ironia e del disincanto tipici non solo del personaggio di Corto Maltese, ma anche e soprattutto del suo autore. Avventura, sogno e mito sono amalgamati da Pratt con maestria e gusto, qualità che oggi sono ardue da trovare nel panorama fumettistico mondiale, impoverito e soverchiato com’è da media dai linguaggi più immediati, adatti a un pubblico ben diverso da quello di un tempo.

In conclusione Mu. La città perduta rappresenta un esempio luminoso di fumetto inteso come grande forma d’arte, in grado di trarre linfa vitale anche da quei temi a volte snobbati dalla cultura cosiddetta “alta”.


N.d.A.: questa recensione è già apparsa in una versione leggermente differente sulla rivista XTimes, edita da Xpublishing.

Giacomo Balla, oltre il futurismo

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Giacomo Balla, Un’onda di luce, 1943 • © Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma

C’è una splendida mostra da visitare, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, ancora in corso purtroppo solo fino a domani, domenica 26 marzo. A cura di Stefania Frezzotti, espone opere tratte dall’intera, strepitosa carriera di Giacomo Balla, artista che a torto è stato “solo” considerato uno dei massimi esponenti del Futurismo.

Questa esposizione rivela al contrario al grande pubblico anche la produzione pre e post futurista, non meno interessante e valida, legata com’è a tecniche mutuate dalla fotografia da un lato e al ritorno al realismo nell’ultima fase della produzione di Balla.

Peccato solo per la davvero troppo esigua durata della mostra, appena un mese. Avrebbe meritato un lasso di tempo ben più esteso.

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Giacomo Balla, Autodolore, 1947 • © Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma

 

 

 

Addio a Bernie Wrightson

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Swamp Thing, copyright D.C. Comics

È davvero un triste periodo per il mondo dell’arte: Bernie Wrightson, maestro indiscusso del fumetto, è scomparso il 18 marzo, a 68 anni, dopo una dura battaglia contro un male crudele.

Negli ultimi mesi aveva abbandonato il disegno proprio in seguito all’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Il suo stile rimarrà unico, inimitabile: elaboratissimo e intricato, poco supereroistico – anche se la sua interpretazione di Batman era a dir poco strepitosa – sapeva rendere come nessun altro i personaggi e le atmosfere horror.

Il suo capolavoro rimarrà senz’altro Swamp Thing, personaggio creato negli anni ’70 assieme allo scrittore Len Wein per la D.C. Comics.

Arte e Mistero all’Auditorium

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Bataclan, © Anna Maria Navazio

È in corso all’Auditorium a Roma Arte e Mistero, una mostra di quadri di Anna Maria Navazio, pediatra felicemente “prestata” alla pittura.

Si tratta di un’esposizione pregevole, che mostra un’interessante polidedricità di soggetti, ritratti con stili non meno mutevoli: dal realismo quasi fotografico a una sorta d’impressionismo.

In ogni caso il risultato è sempre di grande efficacia, penso soprattutto all’impressionante quadro dedicato alla strage del Bataclan.

Un tema che si ritrova spesso nei lavori esposti è la musica, mostrata in varie espressioni. Il che non può che farmi piacere.

Poiché si tratta quasi di una “instant” mostra – iniziata il primo marzo, si concluderà martedì 7 – esorto i lettori eventualmente interessati a recarsi quanto prima presso l’apposito spazio espositivo Auditorium Arte. Oltretutto la mostra è a ingresso gratuito, quindi…

NeXT 17

È disponibile sui consueti canali di vendita on line NeXT 17, naturalmente nella versione digitale senza gli odiosi e inutili DRM. Come sempre, dai portali di EDS e Kipple è possibile, con un semplice click, godere – su computer o tablet – della grande ricchezza grafica di NeXT, la rivista di cultura connettivista. Il prezzo è di quello di un caffè, un’occasione dunque da non perdere.

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