Burt Bacharach, addio al genio della melodia

Mercoledì scorso è scomparso a L.A., alla veneranda età di 94 anni, Burt Bacharach. Pianista e compositore raffinatissimo, ha composto canzoni indimenticabili, come I say a little prayer, I’ll never fall in love again, Raindrops Keep Falling on My Head (tema del mitico film Butch Cassidy), That’s what friends are for e molte altre ancora, tutte indimenticabili, cantate nel corso dei decenni da artisti come Dionne Warwick, Stevie Wonder, Christopher Cross, Neil Diamond, i Beatles e perfino la nostra Ornella Vanoni.

La cifra distintiva della sua musica era, oltre all’innata eleganza, l’apparente semplicità delle melodie, frutto invece di un lavoro di scrittura e cesello senza pari.

Segnalo, a chi volesse accostarsi per la prima volta alla sua incantevole musica, più che le varie antologie, che danno all’ascoltatore un’immagine in fondo solo parziale, l’album Painted From Memory, realizzato nel 1998 assieme a uno strepitoso e ispirato Elvis Costello, in stupefacente sintonia con l’eclettico Burt. Quel disco è una vera perla, un classico da ascoltare a oltranza.

Oppure uno dei suoi ultimi lavori, del 2005, intitolato emblematicamemte At this time, che mostra come la sua vena compositiva fosse tutt’altro che inaridita: brani contrassegnati dalle inconfondibili armonie vocali e da accattivanti melodie, sposate ad arrangiamenti Pop di grande modernità ed eleganza. Poi, sì, compare anche Costello, il che, come dire, non guasta mai…

Addio, maestro Bacharach. La tua musica continuerà a donarci bellezza e serenità.

Nico Fidenco, un addio

Periodo triste per il mondo della musica leggera, come la chiamavano un tempo. Dopo la recente scomparsa di Franco Gatti dei Ricchi e Poveri, è morto ieri Nico Fidenco.

Cantautore raffinato, dalla voce suadente e inconfondibile, è stato anche compositore di numerose colonne sonore, soprattutto per il cinema italiano cosiddetto di genere.

Il periodo di maggior successo e popolarità coincide con gli anni ’60, quando porta al successo brani ancora oggi celebri, come Con te sulla spiaggia, Se mi perderai, Come nasce un amore e soprattutto la suadente Legata a un granello di sabbia, considerata il primo vero tormentone estivo nella storia della canzone italiana.

Incide inoltre, sempre con grande successo, brani tratti dalle colonne sonore di celebri film con Paul Newman, William Holden, Audrey Hepburn e molti altri ancora. Ancora negli anni ’80 tornò al successo componendo sigle per cartoni animati e formando il gruppo de I Super 4, con Jimmy Fontana, Riccardo Del Turco e Gianni Meccia.

Un artista da (ri)scoprire, insomma.

Only the strong survive, un Bruce Springsteen all’insegna della nostalgia

Puntuale arriva il momento per molti musicisti e rockstar di incidere un album di cover. L’hanno fatto in anni recenti Phil Collins, Paul McCartney, perfino i nostrani Pooh e molti altri.

Di solito accade quando gli artisti arrivano, per citare il grande Lucio Dalla, “a una certa età”. Forse entrano in gioco il fattore nostalgia, una certa inevitabile stanchezza compositiva, o magari la semplice voglia di divertirsi con la musica che ascoltavano in gioventù.

E forse è quest’ultima la chiave di ascolto per il nuovo album del “Boss” Bruce Springsteen: divertirsi e, possibilmente, divertire il suo pubblico riproponendo a mò di lussuoso karaoke brani soul e r&b.

Certo, non sempre la sua voce, roca e graffiante, si sposa al meglio con brani lontani dalla sua vocalità e in quei casi si finisce per rimpiangere le versioni originali. È il caso ad esempio di Nightshift dei Commodores o della mitica Don’t play that song di B. E. King.

Ma nel complesso l’album è molto piacevole da ascoltare, ben suonato e arrangiato con grande cura. Forse non lascerà il segno nella vasta produzione del grande cantautore (e gli ultimi album sono di livello notevole) ma rimane pur sempre molto al di sopra della maggior parte della musica di plastica contemporanea, a base di noiosi auto-tune e campionamenti furbastri a go-go.

Il ritorno dei Pink Floyd per l’Ucraina

Un inaspettato e quanto mai gradito ritorno, quello dei Pink Floyd con un brano inedito dal titolo Hey Hey Rise Up in supporto al popolo ucraino. Da notare che lo scorso 12 marzo la band aveva disposto il ritiro del proprio catalogo musicale da tutte le piattaforme russe e bielorusse per protesta contro l’invasione russa dell’Ucraina.

Nel brano figurano David Gilmour ovviamente alla chitarra e l’immancabile Nick Mason alla batteria, Guy Pratt al basso, Nitin Sawhney alle tastiere, e alla voce Andriy Khlyvnyul, della band ucraina BoomBox. Quest’ultimo ha interrotto la tournee in America e Canada per tornare in Ucraina a difendere la sua patria martoriata.

Radio Varsavia

Un modo per ricordare allo stesso tempo la figura di Franco Battiato, artista immenso che ci manca sempre più, con un brano, ahinoi, mai così attuale. Quello che segue è il videoclip di Radio Varsavia, canzone tratta dall’album L’arca di Noè, uscito a fine ’82.

Radio Varsavia, 1982.

Radio Varsavia

E i volontari laici
scendevano in pigiama per le scale
per aiutare i prigionieri
facevano le bende con lenzuola.

E i cittadini attoniti
fingevano di non capire niente
per aiutare i disertori
e chi scappava in occidente.

Radio Varsavia
l’ultimo appello è da dimenticare.

E i commercianti punici
prendevano sentieri di montagna
per evitare i doganieri
ed arrivare in Abissinia.

La Cina era lontana
l’orgoglio di fantastiche operaie
che lavoravano la seta
le biciclette di Shangai.

Radio Varsavia
l’ultimo appello è da dimenticare.

Il giorno dopo Sanremo

E va bene. L’ultima edizione del Festival di Sanremo è stata vinta, come del resto da previsioni, dal duo Mahmood e Blanco con un brano lento di grande effetto, caratterizzato da un bell’impasto vocale e da un arrangiamento ben studiato.

Il brano che ho preferito io invece, a parte quello dell’inossidabile Massimo Ranieri, Lettera al di là del mare – riascoltatelo, testo e interpretazione valgono molto – è Ora e qui, canzone a metà tra una ballata di Riccardo Cocciante e una melodia di Burt Bacharach, ben interpretata da Yuman.

Beh, anche Tantissimo, de Le Vibrazioni non è male però, diciamocelo. Sferzante e dall’attacco epico, riporta la band a un sound più rock che gli si addice francamente di più.

Libri da leggere a febbraio

Ora che abbiamo un nuovo – anzi “vecchio”, pardon, grazie alla cronica inadeguatezza dei nostri partiti, incapaci di trovare l’accordo su un valido candidato – Presidente della Repubblica, tutta l’attenzione mediatica si sta rapidamente spostando sulla nuova edizione, la settantaduesima, del Festival di Sanremo.

Per questo mese ho pensato allora di stilare la consueta lista dei libri da leggere in maniera un po’ atipica, selezionando solo libri legati al mondo della musica. Si parla infatti dell’eterna diatriba BeatlesRolling Stones, di Bob Dylan, di Giancarlo Lucariello, di Franco Battiato e perfino del clan Casadei (quelli del liscio romagnolo, proprio loro).

Appuntamento al prossimo mese e buona lettura o buon ascolto, fate voi!

Dentro un viaggio senza vento

Se vi piace il rock dei Timoria e in particolare di quell’autentico mostro di bravura che risponde la nome dello “Zio Rock” Omar Pedrini, vi consiglio la lettura del libro Dentro un viaggio senza vento, da poco pubblicato da Il Castello Editore.

È un “book concert”, ossia una sorta di diario dal vivo, corredato da foto e illustrazioni a fumetti, di uno storico concerto  della band.

Ma è molto di più in realtà, come spiego nel dettaglio qui, nella recensione pubblicata sul blog magazine Libri e Parole.

Libri da leggere a dicembre

Jeff Buckley

Il 29 maggio 1997 moriva in circostanze misteriose il grande Jeff Buckley, cantautore e chitarrista che ha lasciato il segno nella storia del rock, a dispetto della sua breve vita.

È di soli tre anni (agosto ‘94) prima la pubblicazione dell’album Grace, uno dei dischi più belli degli ultimi decenni, un gioiello di ispirazione, mix riuscitissimo di dolcezza ed energia rabbiosa.

Mary Guibert, madre di Jeff, assieme a David Browne, ha curato un libro, Jeff Bukley. La sua vera voce, che rivela molti aspetti ancora sconosciuti del grande artista, ricostruiti attraverso i diari, le lettere, gli appunti e i testi per canzoni rimaste purtroppo ancora da incidere.

Questo e diversi altri titoli figurano nella lista natalizia dei libri consigliati, l’ultima per questo, ahinoi ancora una volta difficile, 2021.

ABBA… tars!

Il New York Times ha dato molto risalto – giustamente direi – al prossimo tour degli Abba. Proprio così, avete letto bene: la mitica band pop svedese, scioltasi di fatto nel 1982, ha deciso di riunirsi.

ABBA’s motion-capture suits.Credits via ABBA

E fin qui niente di strano, vista la tendenza di molti gruppi musicali del passato a più o meno redditizie, talvolta patetiche reunion. Certo, non sempre il risultato è dei migliori e vedere i volti inevitabilmente e crudelmente invecchiati di artisti che ricordavamo belli come divinità fa male, diciamocelo.

Ma la novità concerne proprio l’aspetto, dal momento che i quattro musicisti si esibiranno sì in tour il prossimo maggio in un locale di nuova costruzione, ma non in carne e ossa, bensì sotto forma di avatar digitali.

Insomma, stiamo a vedere… e anche sentire, certo, visto che a giorni, il 5 novembre, sarà pubblicato il nuovo album di inediti della band.

Non è la prima volta che si ricorre a tale tecnologia – lo si è fatto per Michael Jackson per esempio – ma stavolta l’operazione si prospetta molto ambiziosa e curata: la realizzazione degli avatar dei 4 Abba è opera della Industrial Light & Magic, non so se mi spiego.