di Carlo Santulli (professore associato a contratto presso la facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma, scrittore, critico e capo recensore della rivista letteraria Progetto Babele: il suo ultimo libro di narrativa, Ghigo e gli altri, verrà presentato venerdì 10 aprile a Roma, alle 19, alla Libreria Rinascita Ostiense)

Il 2009 (chi lo sa?) è l’anno delle fibre naturali, come da deliberazione della FAO. Le fibre naturali hanno una storia antichissima, anche se oggi per molte applicazioni sono state sostituite dalle fibre sintetiche e dalle materie plastiche, con le conseguenze ambientali che noi tutti vediamo.
Sono estratte dalle piante, per essere esatti da diverse loro parti: ci possono essere fibre estratte dallo stelo, come il lino o la canapa; dalla foglia, come nel caso dell’agave, per esempio la sisal; o dal frutto, come il cocco; oppure anche dal seme, come nel caso del cotone.
Dalle fibre naturali non si fanno soltanto abiti e tessuti, ma stuoie, bambole, reti, funi e, perché no?, materiali, nei quali esse possono, a certe condizioni sostituire le fibre di vetro, specialmente in un momento in cui si cominciano ad usare resine biodegradabili, sapete quelle a base di amido, in modo tale che il materiale finale sia il più possibile “amico” per la natura, anche e soprattutto quando bisognerà smetterne l’uso (perché anche i materiali naturalmente invecchiano, e muoiono, a volte risuscitando, se siamo stati bravi nel progettarli, in qualche altra forma).
L’interesse delle fibre naturali è ambientale, ma hanno anche interesse per lo sviluppo dei paesi produttori, che si trovano, guarda caso, prevalentemente in quello che un tempo veniva detto “terzo mondo”. Oggi non lo si chiama più così, ma continua ad esserci, anzi certi problemi di sottosviluppo continuano ad aggravarsi.
Tutto questo potrebbe funzionare, ad alcune condizioni: che si riesca a limitare il trattamento chimico delle fibre naturali, e quindi a migliorarne le proprietà, utilizzandole il più possibile come la natura ce le fornisce, e che il beneficio del loro utilizzo vada alla generalità delle persone nei paesi in via di sviluppo, e non soltanto a qualche multinazionale.
Insomma, ce n’è abbastanza per giustificare l’interesse della FAO, e di noi tutti. In Italia, come fibre naturali abbiamo lino e canapa, principalmente, ma ce ne sono altre che vengono coltivate localmente, come la ramié, o altre ancora che, pur non venendo dal nostro paese, hanno una lunga storia di utilizzo e di manifattura di prodotti, come la juta, che è di origine indiana, o la raffia, che viene originariamente dal Madagascar.
Bene, spero di avervi fatto venire un po’ di entusiasmo per questa tematica: ho creato anche un personaggio, il signor Triplaerre, che, quando ho tempo, accompagno nelle scuole elementari a parlare di fibre naturali ai bambini ed agli insegnanti. Se vi interessa, contattatelo: gli farà piacere.