Tiziano Sclavi, da molti considerato quasi una sorta di Salinger italiano del fumetto, ha scritto una graphic novel molto interessante, Le voci dell’acqua, pubblicata all’inizio dell’anno da Feltrinelli Comics.
D’impostazione quasi sperimentale, volutamente frammentaria nello sviluppo narrativo, si snoda in più episodi, tutti più o meno legati dal filo conduttore delle voci che sente il protagonista della storia principale.
Illustrata magnificamente dal poliedrico Werther Dell’Edera, affronta diversi temi cari al Dylaniato autore. Ho molto apprezzato questo lavoro di Sclavi, che mostra di non volersi piegare alle logiche del fumetto commerciale, nel segno di un desiderio di libertà creativa ed espressiva inesausta.
Mi unisco al coro di recensori entusiasti di Lo chiamavano Jeeg Robot, film a basso costo divenuto nel giro di pochi giorni, soprattutto grazie al passaparola, un vero e proprio cult.
Colpisce l’ambientazione inedita – la periferia degradata della capitale – popolata da personaggi degni del capolavoro del compianto Scola Brutti, sporchi e cattivi. Ci sono ovviamente i cattivi come in ogni film di supereroi che si rispetti, ma questi sono indubbiamente più autentici di quelli a volte stereotipati del cinema USA: delinquenti spietati e senza scrupoli, sono in realtà persone disperate e si direbbe condannate in partenza.
Molto riuscita al riguardo la caratterizzazione del capo della banda, Zingaro, interpetato da un bravissimo Luca Marinelli, che per l’occasione dà vita a una sorta di Joker di periferia. Un personaggio che è ossessionato dalla chimera del successo televisivo, inseguito anche attraverso una partecipazione al programma televisivo Amici di Maria De Filippi (!), specchio efficace (neanche tanto, ahinoi) della contemporanea, dilagante mania per i social e il video narcisismo.
Qua e là non mancano sfiziose citazioni ai “veri” supereroi – Spiderman e Superman in primis – anche se il nostro eroe, Enzo Ceccotti/Jeeg Robot, è anch’egli un bandito, un antieroe che solo grazie all’incontro con una ragazza traumatizzata da un’infanzia di violenze, Alessia (interpretata magistralmente da Ilenia Pastorelli), troverà alla fine la sua strada. Il che avverrà puntualmente nel finale catartico alla Christopher Nolan.
La pellicola è la dimostrazione che quando vuole anche il nostro cinema è in grado di produrre opere di grandissimo valore anche nel cosiddetto cinema di genere. Lo chiamavano Jeeg Robot infatti è certamente in grado di rivaleggiare con i migliori film di supereroi d’oltremare. Anzi, lo fa con una marcia in più, quella della maggiore aderenza al tessuto sociale e urbano italiano, sia pure in chiave grottesca.
Un plauso incondizionato dunque al regista Gabriele Mainetti e al protagonista Claudio Santamaria, che per l’occasione ha molto lavorato sul fisico, accrescendolo di muscoli e peso, analogamente a quanto fanno i migliori professionisti stranieri. A riprova della grandissima professionalità e bravura del nostro migliore cinema.
Insomma, come avrete capito, si tratta di un film da non perdere.
Il 6 febbraio di vent’anni fa moriva a Jack “The King” Kirby, ma la sua influenza e il suo carisma rimangono immutati, oggi come ieri. Se ne parla diffusamente sul blog magazine Graphomania: http://blog.graphe.it/2014/02/06/jack-kirby-king-oggi-come-ieri
kirby dinamics, un sito che appartiene al benemerito network Jack Kirby Museum, ha pubblicato oggi la prefazione che Jack “The King” Kirby scrisse nel 1976 alla serie de Gli Eterni, il cui primo numero apparve nel luglio 1976.
Alla domanda cruciale, posta già nel titolo “Torneranno un giorno gli Dei?”, il grande cartoonist rispose da par suo con la maestosa serie in questione, realizzata durante il suo secondo periodo alla Marvel, di ritorno dalla cosiddetta Distinta Concorrenza, quella D.C. per la quale aveva tra l’altro prodotto la saga-capolavoro del Quarto Mondo.
Io, più modestamente, ricollegandomi idealmente proprio a Gli Eterni, ho dato la mia personale interpretazione con il racconto Secondo Avvento, pubblicato nell’antologia 50 sfumature di SF, di recente pubblicata da La Mela Avvelenata.
Inutile dire che entrambi, il Re e il qui presente scribacchino, abbiamo attinto a piene mani alle teorie di Erich von Däniken, discutibili quanto si vuole, ma non per questo meno suggestive.
Carmine Infantino, uno dei più talentuosi e celebrati fumettisti del ‘900, si è spento qualche giorno fa all’età di 87 anni. Celebre soprattutto per il suo profondo restyling del personaggio di Flash, ha caratterizzato con il suo stile elegante e pulito gran parte dell’universo a fumetti della D.C. Comics, rivestendo anche ruoli dirigenziali in senso alla celebre compagnia.
Non solo. Rivestì un ruolo importante nei primi anni ’70 nel passaggio alla D.C. e nella non facile – ma assai proficua sul piano artistico – gestione in qualità di editor dell’attività di un altro gigante dei comics, l’amico fraterno Jack Kirby.
Cronache da Romics 2011, ossia l’11° Festival del fumetto, dell’animazione e dei games: una vera Caporetto. Visitata nel pomeriggio della seconda giornata, spettacolo sconsolante e avvilente: pochissime case editrici, molti spazi vuoti, massiccia presenza di negozi di comics ma soprattutto merchandising.
Diversi chioschi di specialità dolciarie da sagra paesana e sporcizia ovunque: lo sbando più indecente. Branchi di cosplayer malinconici, gli occhi spauriti e i visi desolati, si aggiravano per la Fiera, ridotta ad hangar – discarica.
Il piazzale antistante l’anello di collegamento – il tunnel sopraelevato – è il primo biglietto da visita della Nuova Fiera di Roma: erbacce ovunque, scale mobili rotte, giardini ridotti a una steppa riarsa, uno scenario da ex Iugoslavia. Dulcis in fundo, il servizio di pullman navetta ridotto ai minimi termini.
Dove? Al Pordenone Comics (padiglioni 1 e 2 della Fiera di Pordenone, situata all’inizio di Viale Treviso), il 16 maggio, presso lo stand di China & Grafite.
Il libro, a cura di Valentino Sergi e con prefazione di Davide Barzi, analizza in profondità e da diversi punti di vista le più significative opere edite e inedite dell’autore, attraverso i saggi di nomi autorevoli della critica e dell’editoria: Cristiana Astori, Ivan Baio, Alessandro Bottero, Sergio Calvaruso, Simone Corà, Marcello Durante, Max Favatano, Davide Morando, Giuseppe Palmentieri, Paolo Parachini, Antonio Rubinetti, Elvezio Sciallis e Luigi Siviero.
In coda un vero gioiello: una nutrita gallery curata da smoky man con i contributi di grandi matite italiane come Vincenzo Acunzo, Francesco Biagini, Mirko Benotto, Giancarlo Caracuzzo, Massimo Dall’Oglio, Dany & Dany, Werther Dell’Edera, Carmine Di Giandomenico, Luca Enoch, Francesco Francavilla, Alberto Lingua, Gianluca Maconi, Alberto Pagliaro, Armando Rossi e Claudio Stassi.
Vi segnalo l’imminente uscita di un saggio di grande valore, dedicato a un nome cult del mondo dei comics e del cinema USA. Si tratta di Frank Miller – Matite su Hollywood, di Valentino Sergi (Edizioni XII)
È qui, nel roboante vuoto del film-concerto, del blockbuster sterile, del film muscolato, che intervengono gli autori come Miller: attraverso la trasformazione dei modi, il geniale recupero dei topoi e della misura, dei ritmi, ma con scandalosa, inedita energia, con forza e segno, grafismi e parole nuove.
(Dall’introduzione di Massimiliano Spanu).
E poi c’è il cinema, inesauribile fonte d’ispirazione. Miller firmerà gli script di Robocop 2 e Robocop 3, del cui risultato resterà talmente deluso da chiudere i ponti con Hollywood per anni, nonostante le sue opere continuino a essere saccheggiate per produrre film di qualità discutibile. Fino a Sin City almeno…