Zucked!

RogerMcNamee_ZuckedRoger McNamee, uno dei business men più in vista della Silicon Valley, è stato tra i primi finanziatori di quel mostro tentacolare che è Facebook, nonché per qualche tempo anche mentore del vulcanico Mark Zuckerberg.

Oggi, dopo l’infuriare dei vari scandali che hanno colpito la creatura di “Zuck”, si dichiara pentito delle sue azioni.

Non è solo, per fortuna. In questi ultimi anni è in corso un serio processo di ripensamento sui social network, non solo nel mondo informatico, ma più in generale nel mondo del giornalismo e nella società civile più evoluta e attenta ai gravi rischi connessi alla pervasività rapace delle piattaforme social e all’abuso dei vari dispositivi digitali. Tutti strumenti che, sia pure utili, quando non indispensabili, nel giro di pochi anni sono diventati vere e proprie appendici di quasi tutti noi.

Ebbene McNamee, con grande ricchezza d’argomenti, ha scritto un saggio che mette in guardia gli utenti di Facebook sui seri rischi derivanti dall’utilizzo della celebre piattaforma.

Ne raccomando la lettura a tutti, al fine di cominciare a rendersi conto del pericolo rappresentato da Facebook, vera e propria minaccia per la democrazia e potente veicolo per la diffusione delle temutissime e, ahinoi, sempre più diffuse fake news.

Per maggiori info, potete leggere la recensione estesa del libro qui.

Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social

Jaron LanierChe i social stiano avvelenando le esistenze di molti di noi credo sia un fatto innegabile. Condizionano i nostri comportamenti, ci trasformano in soggetti passivi da sfruttare per meri fini commerciali o, peggio, per manipolare le nostre idee e convinzioni politiche.

Pensate ad esempio allo scandalo Cambridge Analytica, che ha ulteriormente danneggiato l’immagine – e le quotazioni in Borsa – del tentacolare Facebook, o all’ondata costante di fake news propinate quotidianamente sulla medesima piattaforma per fini commmerciali o criminali. Ma gli esempi negativi sono innumerevoli, e davvero c’è da aver paura dello strapotere dei social network.

Il provvedimento più saggio da adottare sarebbe cancellare i nostri account social. Subito, senza rimpianti né esitazioni. È quanto raccomanda anche Jaron Lanier, un personaggio eccentrico ma geniale, pioniere della realtà virtuale e autentico guru delle complesse problematiche legate all’abuso delle moderne tecnologie.

Il suo ultimo libro è un pamphlet prezioso, da leggere – anzi, se possibile studiare – attentamente. Il titolo dice tutto: Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social. Ne parlo più diffusamente qui.

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Zuckerberg conferma la pericolosità di Facebook

Zuckerberg congresso
(© Win McNamee/Getty Images)

Insomma, martedì scorso l’audizione di Mark Zuckerberg (CEO di Facebook, per quei pochi che ancora non lo sapessero) davanti alla Commissione per l’energia e il commercio del Senato degli Stati Uniti in merito allo scandalo Cambridge Analytica e alla poco limpida – per usare un eufemismo – gestione dei dati dei vari miliardi di utenti Facebook nel mondo è andata così così.

Le domande di alcuni senatori – non esattamente dei giovincelli, diciamocelo – sono parse in alcuni casi confuse e troppo arzigogolate. Hanno dato l’impressione di conoscere poco i meccanismi che governano i social e le varie app.
Ma anche le risposte di Zuck, che pure da un iniziale imbarazzo si è via via sciolto, non hanno brillato: Z. si è prodotto in scuse ripetute, ripetendo tra l’altro che FB non può essere considerato a suo avviso un editore, ma la sostanza non cambia.

Facebook si conferma per quello che è: un Moloch pericoloso, sfuggito più o meno consapevolmente di mano ai suoi stessi creatori, che vive divorando i nostri dati personali per farne merce preziosa. La sua apparente gratuità consiste proprio in questo, nel monetizzare i dati dei suoi iscritti. La merce in altre parole siamo noi.

Ieri poi Zuckerberg ha subito il fuoco di fila della Commissione dell’energia e del commercio della Camera dei Rappresentanti, e gli è andata anche peggio, producendosi in risposte vaghe o, direi, inquietanti.

Ready Player One

È da poco approdato in sala Ready Player One, kolossal SF del Premio Oscar Steven Spielberg. Il film, sia pure pensato per un pubblico giovanile, è godibilissimo: divertente e coinvolgente, piacerà tra l’altro a chi, come il sottoscritto, è affetto da inguaribile nostalgia per la musica degli anni ’70 e ’80: la colonna sonora attinge a piene mani dai brani più rappresentativi di quei decenni.

Tra l’altro il film si fa portatore di una critica – neanche troppo velata – al mondo del virtuale, a quella fuga dalla realtà nella quale spesso in molti cadiamo. Un esempio, l’abuso dei social network, Facebook in primis, che pure tanti danni stanno provocando alla nostra società.

Per approndire, qui potete leggere una recensione più articolata del film che segna il ritorno di Spielberg alla fantascienza.

 

I blog? Zombi digitali

Il dibattito è aperto, e sono diversi anni che se ne parla. Di cosa? Della morte dei blog, o meglio dell’idea tradizionale di blog.

I meno giovani ricorderanno, prima ancora del glorioso avvento del World Wide Web, la diffusione dei B.B.S. (Bulletin Board Systems), presto soppiantati dalla proliferazione dei Forum sul Web e, più in generale, da forme di comunicazione più rapide.

Abbiamo assistito al fenomeno della proliferazione dei siti Web personali, oggi appannaggio quasi esclusivo di aziende o personaggi pubblici. Cosa sia accaduto è sotto gli occhi di tutti: sono stati travolti dal fenomeno blog, che, a partire dai primi anni 2000, ha preso piede anche in Italia.

In seguito hanno fatto la loro comparsa i cosiddetti Social Network: dapprima MySpace e poi l’onnipresente e sempre più dilagante FaceBook, che ha sussunto in sè caratteristiche in fondo antiche, quali la chat, l’email, la possibilità di creare pagine personali con features più innovative e interattive,  in grado di creare aggregazione tra singoli individui e gruppi.

Per non parlare del “cinguettio”, di Twitter, che tuttavia preferisco di gran lunga alla creatura di Mark Zuckenberg, una piattaforma che da semplice “piazza aggregativa” è divenuta nel tempo una sorta di “bar sport” planetario, dove chiunque – soprattutto i meno informati – si sente autorizzato a sproloquiare.

In più è diventato l’habitat preferito degli odiatori per partito preso e dei cyber bulli, così giustamente stigmatizzati anche dalla Presidente della Camera Laura Boldrini

Non solo: è anche mezzo per eccellenza di creazione e diffusione di notizie false, le cosiddette fake news. A queste gli utenti di FB da un lato sembrano non credere più di tanto, tuttavia ammettono allo stesso tempo di rilanciarle senza farsi troppi scrupoli.

Nè convincono le blande misure “anti bufale” adottate sin qui dal social network. FB non può essere utilizzato, come pure fanno molti, come serio e attendibile mezzo d’informazione, orientato invece com’è al mero profitto attraverso lo sfruttamento dei dati sensibili dei suoi utenti.

Ciò che mi premeva evidenziare in questa mia breve riflessione è la sensazione che i blog – e per amor di paradosso pubblico queste righe proprio su un blog, peraltro ancora in discreta salute – siano ormai agli ultimi fuochi.

Pazienza, ce ne faremo una ragione.

Kiss more, tweet less

Bob Herbert sul N.Y.T. si mostra molto critico sulla dilagante tendenza al multitasking umano e sulla “iper connettività”.
Non potrei essere più d’accordo.

We need to reduce the speed limits of our lives. We need to savor the trip. Leave the cellphone at home every once in awhile. Try kissing more and tweeting less. And stop talking so much.

Listen.

Other people have something to say, too. And when they don’t, that glorious silence that you hear will have more to say to you than you ever imagined. That is when you will begin to hear your song. That’s when your best thoughts take hold, and you become really you.

D’Alema: Facebook non basta

Massimo D’Alema, intervistato oggi da Repubblica:

[…] Per troppi mesi siamo rimasti sospesi nell’incertezza del “partito leggero”: non abbiamo capito se doveva essere un partito di iscritti, di sezioni, di gazebo. Il risultato è un ircocervo, che oggi nessuno sa ben definire. La mia vecchia sezione Ds contava 427 iscritti, era un centro vivace, pieno di iniziative. Quando abbiamo fatto il Pd, e abbiamo dato vita alla cosiddetta “elezione per adesione”, sono venute a votare 687 persone. Da allora, più nulla. Il tesseramento è iniziato con grande ritardo. Oggi la sezione ha 120 iscritti, e non ha più neanche una sede. Casi analoghi sono avvenuti in tante parti del Paese. Oggi il Pd ha grosso modo la metà degli iscritti che avevano i Ds. …Un grande partito, se vuole essere riformista e di massa, deve avere regole, strutture. Bisogna che la gente lo trovi, nel suo quartiere, nella sua città. Certo, lo deve trovare anche su Internet, su Facebook, o nelle piazze quando c’è una manifestazione. Ma questo non basta, non può bastare.

Facebook: i tuoi contenuti sono miei

Facebook mostra il suo vero volto:

Il popolarissimo network cambia alcune righe fondamentali dei suoi termini di servizio. Da poco infatti, tutti i contenuti uploadati dagli utenti rimangono di proprietà di Facebook, anche se ci si disiscrive al servizio. Una mossa che apre scenari e accende inevitabili polemiche
(segue su Kataweb)